E così te ne sei andato, alla fine, Giovanni, Zvan. Almeno posso piangere, che tanto le lacrime scendono sull'impermeabile verde, a confondersi col paesaggio. Così dirò, "come colui che piange e dice".
Tanto le parole, questa volta, ci sono: basta scegliere tra quelle che ci hai lasciato. In lingua, nel tuo dialetto, nell'amato tedesco. Penso al tuo corpo a corpo con le lingue (anche dal neerlandese, traducevi), a quello con la malattia. Penso alla tua voce sempre netta, vibrante, senza esitazioni: che si trattasse di prendere la parola in Consiglio, di declamare un testo alle feste, di ciacolare intorno a un tavolo (tu preferivi quelli quadrati) del Brirò.
Penso a una parola del tedesco che ho imparato da te: Heimatlosigkeit. La usavi per dire lo spaesamento integrale (di storia, memoria, territorio, animo, lingua). Una parola resistente, come te, come il tuo romagnolo.
È tempo di tirar fuori una poesia tua, che avevo annotato, e che mi accompagna. Si chiama Guardrail e inizia con "noi": pronome delle identità plurime (io ampliato, plurale inclusivo o esclusivo). Parola che ci àncora (ancòra) a un qui e ora, uno o tanti non importa.
Incollo insieme i pezzi sparsi di me per ascoltarti, ancora una volta.
nó ch’a stasen d’astê
che e’ disten
u s’ vegna incontra
cun un bês mai pruvê
d’j oc d’un culor mai vest
di cavél ros infunghì d’voia
a n’s’n’andasen brisa
ch’a pasen i dè
a zugher ’ e’ löt
a pruvê d’stachêr e’ cios
da i nöstar pen misrê
che sudór saibedgh d’s-ciân
ch’a j aven adös…
firum ins un binéri
dentar a un vagon
senza ch’u l’cmânda incion
ch’e’ sól cvând ch’u i pêr a lò
a fê pasêr un Eurostar
a prenotazione obbligatoria
a pirden i nöstar dè
prenutê par nó da un étar
a ’spitê d’lezar
da un talafunì
ch’al letar ch’al s’dega
ch’a j aven vent
un étr incontrar cun e’ disten
e incion a scrivas mai…
noi che siamo in attesa / che il destino / ci venga incontro / con un bacio mai provato / occhi di un colore mai visto / capelli rossi infuocati di desiderio / non ce ne accorgiamo / che passiamo i giorni / a giocare al lotto / a tentare di staccare il lezzo / dai nostri panni fradici / il sudore selvatico di umano / che abbiamo addosso…
fermi su un binario / dentro a un vagone / senza nessuno che lo guidi / che va soltanto quando pare a lui / a far passare un Eurostar / a prenotazione obbligatoria / perdiamo i nostri giorni / prenotati per noi da un altro / ad aspettare di leggere / da un cellulare / quelle lettere che ci dicano / che abbiamo vinto / un altro incontro col destino / e nessuno a scriverci mai…
(G. Nadiani, Guardrail, Ancona, Pequod, 2010, pp. 34-35).
d’j oc d’un culor mai vest
di cavél ros infunghì d’voia
a n’s’n’andasen brisa
ch’a pasen i dè
a zugher ’ e’ löt
a pruvê d’stachêr e’ cios
da i nöstar pen misrê
che sudór saibedgh d’s-ciân
ch’a j aven adös…
firum ins un binéri
dentar a un vagon
senza ch’u l’cmânda incion
ch’e’ sól cvând ch’u i pêr a lò
a fê pasêr un Eurostar
a prenotazione obbligatoria
a pirden i nöstar dè
prenutê par nó da un étar
a ’spitê d’lezar
da un talafunì
ch’al letar ch’al s’dega
ch’a j aven vent
un étr incontrar cun e’ disten
e incion a scrivas mai…
noi che siamo in attesa / che il destino / ci venga incontro / con un bacio mai provato / occhi di un colore mai visto / capelli rossi infuocati di desiderio / non ce ne accorgiamo / che passiamo i giorni / a giocare al lotto / a tentare di staccare il lezzo / dai nostri panni fradici / il sudore selvatico di umano / che abbiamo addosso…
fermi su un binario / dentro a un vagone / senza nessuno che lo guidi / che va soltanto quando pare a lui / a far passare un Eurostar / a prenotazione obbligatoria / perdiamo i nostri giorni / prenotati per noi da un altro / ad aspettare di leggere / da un cellulare / quelle lettere che ci dicano / che abbiamo vinto / un altro incontro col destino / e nessuno a scriverci mai…
(G. Nadiani, Guardrail, Ancona, Pequod, 2010, pp. 34-35).
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