martedì 2 agosto 2016

Restituendo le chiavi

THE CAR

The car with a cracked windshield.
The car that threw a rod.
The car without brakes.
The car with a faulty U-joint.
The car with a hole in its radiator.
The car I picked peaches for.
The car with a cracked block.
The car with no reverse gear.
The car I traded for a bicycle.
The car with steering problems.
The car with generator trouble.
The car with no back seat.
The car with the torn front seat.
The car that burned oil.
The car with the rotten hoses.
The car that left the restaurant without paying.
The car with bald tires.
The car with no heater or defroster.
The car with its front end out of alignment.
The car the child threw up in.
The car I threw up in.
The car with the broken water pump.
The car whose timing gear was shot.
The car with the blown head-gasket.
The car I left on the side of the road.
The car that leaked carbon monoxide.
The car with the sticky carburetor.
The car that hit the dog and kept going.
The car with the hole in its muffler.
The car my daughter wrecked.
The car with the twice-rebuilt engine.
The car with the corroded battery cables.
The car bought with a bad check.
Car of my sleepless nights.
The car with a stuck thermostat.
The car whose engine caught fire.
The car with no headlights.
The car with a broken fan belt.
The car with wipers that wouldn’t work.
The car I gave away.
The car with transmission trouble.
The car I washed my hands of.
The car I struck with a hammer.
The car with payments that couldn’t be met.
The repossessed car.
The car whose clutch-pin broke.
The car waiting on the back lot.
Car of my dreams.
My car.

(Raymond Carver, Ultramarine, Random House, NY, 1986)


sabato 30 luglio 2016

Riportando tutti a casa

Quando arriviamo a Bologna è già notte, il valico di Sirio già spento (non la stella). Il centro storico ė spopolato ma inondato dal caldo. Il contachilometri ha superato i 5000. Bisogna scaricare la macchina e buttare via quel che resta (lattine e bottiglie, briciole, cartacce, penne, cappelli, alcol test inutilizzati, ipotesi di viaggio scartate). Bisogna ritrovare le abitudini, le presenze familiari. Bisogna ritrovare il sonno, sul proprio materasso, sfogliando pagine, lasciando scorrere le immagini. Ritrovare il piacere di stare fermi, almeno per un po'.
"La cultura es la sonrisa" - canta Leon Gieco: il pezzo scelto da Giovanni per salutarci.
"Blue is the color of my mind" - canterà Chris domani, sul prato di Cassanigo, tra filari di peschi e di peri, per salutarlo.

Traffic jam

Tempo di rientrare. Ma non senza aver fatto sperimentare ai bambini, per la prima volta, la spensieratezza di un ostello. E aver passeggiato nel centro di Monaco, intorno a Marienplatz. Altro memoriale ai piedi della statua: anche questa città ha conosciuto di recente il terrore. Ascoltiamo il carillon delle 12, con le figurine che ballano in ricordo della fine della peste: scampato pericolo. Nella piazza vicina, all'ombra dei castagni, mangiamo enormi Bretzel e Gurken salatissimi.
Rosie, l'amica di Anne che ci accompagna, spiega e racconta, alternando tedesco, inglese, italiano, francese. Una tedescaccia, come si definisce, con un'insolita, allegra vitalità. Ha superato gli ottanta ma non vive di ricordi. Sono i ricordi a rivivere attraverso di lei. Scopriamo da lei che tutti i bavaresi stanno per mettersi in macchina per raggiungere i luoghi di vacanza: in questo paese ordinato e produttivo, le vacanze (anche quelle scolastiche) si fanno a scaglioni. Capiamo subito che le decisioni dall'alto non riusciranno a impedire l'effetto traffic jam.
In coda fino al bivio Salisburgo-Innsbruck, osserviamo il passaggio degli stormi. Mi torna in mente una lezione di colleghi fisici, che paragonavano il traffico autoregolato ai movimenti spontanei e organizzati dal basso di uccelli e formiche: separazione e allineamento dei singoli, coesione del gruppo. Lasciare ai singoli l'iniziativa e la libertà di spostamento rende il traffico più fluido: come accade nelle rotonde rispetto agli incroci con semaforo. Ma per chi è inquadrato in un sistema di regole, la marcia diventa un riflesso. Le deviazioni e le infrazioni alla linea una minaccia al proprio comfort, oltre che alla sicurezza personale e collettiva.
Siamo ancora in Tedescania, chiede il piccolo? Dalla Baviera all'Austria la frontiera è invisibile: un grande pannello ci ricorda però che dobbiamo esporre la vignette, l'abbonamento che dà diritto (come in Svizzera) all'uso delle autostrade. Osserviamo il paesaggio: i campanili a pom-pom dei villaggi, i castelli perfettamente conservati (o rifatti) disseminati lungo la montagna. Penso alla dinamica tra esprit du clocher ed esprit d'intercourse che regola la vita delle lingue come quella delle comunità: il campanile e i crocicchi, l'identità e lo scambio.
Il confine con l'Italia, stavolta, non ha barriere naturali imponenti: solo 500 m di galleria sul Brennero. Anne nota i guardrail, che sembrano arrugginiti e invece no. Tra le barriere marroni, ritrovo le mie abitudini di guida. Mi sento più sciolta e padrona della strada, libera come sono di accelerare per inseguire una Ferrari o di accodarmi a una familiare stracarica. Ritroviamo gli autogrill frequenti, con toilette a libero accesso e caffè caffè. Ritroviamo la voglia di tornare a casa, dopo tanto viaggiare. "Restare a casa non ė lo stesso che ritornare a casa" - come recitava più o meno la scritta sovrastata da bottiglie sotto il ponte pedonale della stazione di Amsterdam. Ma questo anche Ulisse lo sapeva.


 
 
 
 
 

giovedì 28 luglio 2016

Baustelle

Lasciamo Admsterdam per scendere a sud. Più di 800 km di autostrada senza caselli prima di raggiungere Münich. Usciti dalla città, dopo Utrecht, un toponimo rivelatore: Breukelen. Perché, prima di diventare una nuova York, la città sul fiume oltre l'oceano era una nuova Amsterdam, con sobborghi annessi. Capisco ora quell'aria di famiglia, girando per le ciclabili ieri. Ritrovarsi dall'altra parte di Amsterdam, dove ti porta il traghetto gratuito, è come ritrovarsi nell'altra New York, oltrepassato il ponte di Brooklyn: case più alte che larghe, identiche facciate e backyard. Anne mi spiega che breuk in fiammingo vuol dire pantaloni. Penso alla parola jeans, che viene da Genova, come la tela di orbace dei camalli.
La frontiera tra Paesi Bassi e Germania è segnata da un diverso stile di guida: là rispetto dei limiti e sorpassi solo se necessari, qua apparentemente nessun limite e slalom tra le corsie (strettissime), come in Italia. La differenza traspare nelle aree di servizio: toilette a pagamento con i tornelli (si passa inserendo 70 centesimi oppure la carta di credito), defibrillatori ovunque (troppo sale e troppe salse nelle salsicce - dice Anne, che me li fa notare).
Ascoltiamo cd a rotazione. È la volta di Benjamin Biolay. Dico ad Anne che mi piace la sua voce. Lei: "Il a beaucoup écouté Gainsbourg". Cassé. Quando arriva De André, che lei non conosce, metto subito le mani avanti: "Il a beaucoup écouté Brassens". Ridiamo. E poi l'ultimo dei Baustelle (che vuol dire "lavori in corso" - come recitano anche i segnali sulla A3). Code su code, incolonnati fino a Colonia. "Specchio di pioggia e asfalto" - canta Cristina Donà.
Intorno scorrono cartelli che annunciano luoghi più o meno conosciuti: la Wuppertal di Pina Bausch, la Worms dei Nibelunghi, il paese natale di Gluck vicino a Norimberga. Memorie culturali non mediate da alcun commercio di amorosi sensi. Mi manca la lingua, soprattutto, per me oscura, affilata come un coltello.
Quando arriviamo a Monaco sono stanca e sopraffatta dalla vista delle torri (simboli fallici per eccellenza) erette dalle case automobilistiche. La gara ė tra le più potenti tra le tedesche: le stesse che,

 repotenti, ci sorpassavano senza segnalare il cambio di corsia. Nell'ultimo romanzo di Jonathan Franzen, Purity, uno dei personaggi, il tedesco dell'Est Andreas Wolf, camminando per le strade della Berlino riunificata, si ferma davanti a una concessionaria della Bmw e chiede al suo amico americano:
- Che ne dici, Tom? Dovrei provare a desiderare una di queste macchine? Adesso che non c'è più l'Est, solo l'Ovest?
- Desiderarle è il tuo dovere di consumatore.
Andreas fissa spaventato "quelle macchine che promettevano il piacere di guidare", prima di mostrare il dito medio alle lustre Bmw, tenendolo alzato sopra la spalla mentre si allontana.

Inutile dire che non abbiamo visto DS, stavolta, lungo la strada. Altra "filosofia" di guida. Forse anche di vita.






 
 
 
 

mercoledì 27 luglio 2016

Guardrail

Mentre giriamo sotto la pioggia su un tandem a tre posti, il telefono si illumina di una luce breve. La vibrazione è un singhiozzo. Arrivano così, oggi, certe notizie.
E così te ne sei andato, alla fine, Giovanni, Zvan. Almeno posso piangere, che tanto le lacrime scendono sull'impermeabile verde, a confondersi col paesaggio. Così dirò, "come colui che piange e dice".
Tanto le parole, questa volta, ci sono: basta scegliere tra quelle che ci hai lasciato. In lingua, nel tuo dialetto, nell'amato tedesco. Penso al tuo corpo a corpo con le lingue (anche dal neerlandese, traducevi), a quello con la malattia. Penso alla tua voce sempre netta, vibrante, senza esitazioni: che si trattasse di prendere la parola in Consiglio, di declamare un testo alle feste, di ciacolare intorno a un tavolo (tu preferivi quelli quadrati) del Brirò.
Penso a una parola del tedesco che ho imparato da te: Heimatlosigkeit. La usavi per dire lo spaesamento integrale (di storia, memoria, territorio, animo, lingua). Una parola resistente, come te, come il tuo romagnolo.
È tempo di tirar fuori una poesia tua, che avevo annotato, e che mi accompagna. Si chiama Guardrail e inizia con "noi": pronome delle identità plurime (io ampliato, plurale inclusivo o esclusivo). Parola che ci àncora (ancòra) a un qui e ora, uno o tanti non importa.
Incollo insieme i pezzi sparsi di me per ascoltarti, ancora una volta.

nó ch’a stasen d’astê

che e’ disten

u s’ vegna incontra

cun un bês mai pruvê

d’j oc d’un culor mai vest

di cavél ros infunghì d’voia

a n’s’n’andasen brisa

ch’a pasen i dè

a zugher ’ e’ löt

a pruvê d’stachêr e’ cios

da i nöstar pen misrê

che sudór saibedgh d’s-ciân

ch’a j aven adös…



 firum ins un binéri

dentar a un vagon

senza ch’u l’cmânda incion

ch’e’ sól cvând ch’u i pêr a lò

a fê pasêr un Eurostar

a prenotazione obbligatoria

a pirden i nöstar dè

prenutê par nó da un étar

a ’spitê d’lezar

da un talafunì

ch’al letar ch’al s’dega

ch’a j aven vent

un étr incontrar cun e’ disten

e incion a scrivas mai…

noi che siamo in attesa / che il destino / ci venga incontro / con un bacio mai provato / occhi di un colore mai visto / capelli rossi infuocati di desiderio / non ce ne accorgiamo / che passiamo i giorni / a giocare al lotto / a tentare di staccare il lezzo / dai nostri panni fradici / il sudore selvatico di umano / che abbiamo addosso…

fermi su un binario / dentro a un vagone / senza nessuno che lo guidi / che va soltanto quando pare a lui / a far passare un Eurostar / a prenotazione obbligatoria / perdiamo i nostri giorni / prenotati per noi da un altro / ad aspettare di leggere / da un cellulare / quelle lettere che ci dicano / che abbiamo vinto / un altro incontro col destino / e nessuno a scriverci mai…

(G. Nadiani, Guardrail, Ancona, Pequod, 2010, pp. 34-35).
 

La patente

Da Bruxelles ad Amterdam la nostra compagna di viaggio è Anne. Anche lei ha un amore antico e coltivato per l'Italia, in cui ha trascorso tutte le sue estati da bambina, e per la nostra lingua, che si sforza di tradurre. Anche lei ha fatto a meno della macchina per buona parte della sua vita. Finché non ha deciso di prendere la patente. Come tutti i neofiti, e a differenza di chi si affida sans soucis alla guida altrui (non avendo sperimentato in prima persona i pericoli della strada), è attentissima alla segnaletica e alle variazioni di velocità. Come ogni belga, riesce a decifrare anche le scritte in neerlandese che rendono per me oscuri perfino i nomi di città che dovrei conoscere, almeno sulla carta: Antwerpn, Anversa.
In Belgio e nei Paesi Bassi le autostrade sono gratuite. Nessuna barriera. Neppure linguistica. Cambia il paesaggio, diversamente antropizzato (compaiono i mulini a vento). Cambia il cielo (il grande cielo olandese - come dice Anne). Anche l'impatto col paesaggio urbano è diverso. Entriamo gradualmente in sobborghi dalle lunghe teorie di case basse che corrono unitarie. Kastelenstraat è l'indirizzo che dobbiamo raggiungere. La casa di una famiglia come la nostra, ma più luminosa e ordinata (perché meno affollata di oggetti). Partiti in vacanza in direzione opposta. I bambini sono curiosi di scoprire le tracce della presenza di Elfie e di Pijke, sempre sorridenti nelle foto alle pareti che testimoniano la loro crescita (o invecchiamento, dipende dai punti di vista).
Un tram ci porta in mezz'ora nel centro di una città che non conosciamo, e che scopriamo perdendoci. Finché non decidiamo di concederci un giro per i canali, su una piccola chiatta silenziosa che ci porta lontano dai quartieri degli eccessi, alla scoperta di viste e particolari che animano i quadri di Rembrandt. Io, con quel che resta dei ricordi dell'esame per la patente nautica, provo a decifrare i segnali di navigazione, i messaggi scambiati via radio in prossimità dei ponti, i saluti di cortesia quando ci incrocia, anche se non ci si conosce (come nelle strade di Irlanda, quando ci si dà la precedenza).
Questa volta non riusciremo a visitare musei. Ma domani prenderemo una bicicletta e gireremo. Tra ponti che sovrastano le vie d'acqua e le strade carreggiate in cui le macchine avanzano in punta di ruota, quasi scusandosi della loro invadenza.
 
 
 

martedì 26 luglio 2016

Half & half

I bambini amano ritrovarsi nelle città in cui sono stati, ritrovare dettagli che li hanno colpiti. A Bruxelles vogliono andare a vedere se il gatto rosso Mousti è sempre disteso sulle panche del Cirio, la storica brasserie accanto alla Bourse. Anch'io sono contenta di ritrovare l'anziano cameriere dalla pronuncia belga, le monumentali toilettes art nouveau, l'eccellente insalata di avocado e gamberetti grigi, e soprattutto l'impareggiabile half&half, che si beve solo qui: per metà vino fermo e per metà spumante.
Se a Paris avevamo sperimentato il piacere di  chiner, andare per mercatini di anticaglie (brocante), qui indugiamo tra gli scaffali delle librerie. Da Pêle-mêle c'è un'ampia scelta di libri usati, anche in italiano, anche per bambini. E poi c'è Tropismes, la libreria storica nel cuore della galerie de la Reine, che divide il nome con un prezioso libro di scritture brevi di Nathalie Sarraute.
I tropismi sono oscillazioni interiori: "movimenti impercettibili, che scivolano velocemente ai limiti della nostra coscienza; sono all'origine dei nostri gesti, delle nostre parole, dei sentimenti che manifestiamo, di quelli che crediamo di provare e che riusciamo a definire".
Oggi ė una giornata così: il pendolo delle emozioni oscilla, i ricordi si affacciano, qualche crepa si insinua. Tristi tropismi. Journal de deuil di Roland Barthes la lettura che mi accompagna nel sonno.