mercoledì 27 luglio 2016

Guardrail

Mentre giriamo sotto la pioggia su un tandem a tre posti, il telefono si illumina di una luce breve. La vibrazione è un singhiozzo. Arrivano così, oggi, certe notizie.
E così te ne sei andato, alla fine, Giovanni, Zvan. Almeno posso piangere, che tanto le lacrime scendono sull'impermeabile verde, a confondersi col paesaggio. Così dirò, "come colui che piange e dice".
Tanto le parole, questa volta, ci sono: basta scegliere tra quelle che ci hai lasciato. In lingua, nel tuo dialetto, nell'amato tedesco. Penso al tuo corpo a corpo con le lingue (anche dal neerlandese, traducevi), a quello con la malattia. Penso alla tua voce sempre netta, vibrante, senza esitazioni: che si trattasse di prendere la parola in Consiglio, di declamare un testo alle feste, di ciacolare intorno a un tavolo (tu preferivi quelli quadrati) del Brirò.
Penso a una parola del tedesco che ho imparato da te: Heimatlosigkeit. La usavi per dire lo spaesamento integrale (di storia, memoria, territorio, animo, lingua). Una parola resistente, come te, come il tuo romagnolo.
È tempo di tirar fuori una poesia tua, che avevo annotato, e che mi accompagna. Si chiama Guardrail e inizia con "noi": pronome delle identità plurime (io ampliato, plurale inclusivo o esclusivo). Parola che ci àncora (ancòra) a un qui e ora, uno o tanti non importa.
Incollo insieme i pezzi sparsi di me per ascoltarti, ancora una volta.

nó ch’a stasen d’astê

che e’ disten

u s’ vegna incontra

cun un bês mai pruvê

d’j oc d’un culor mai vest

di cavél ros infunghì d’voia

a n’s’n’andasen brisa

ch’a pasen i dè

a zugher ’ e’ löt

a pruvê d’stachêr e’ cios

da i nöstar pen misrê

che sudór saibedgh d’s-ciân

ch’a j aven adös…



 firum ins un binéri

dentar a un vagon

senza ch’u l’cmânda incion

ch’e’ sól cvând ch’u i pêr a lò

a fê pasêr un Eurostar

a prenotazione obbligatoria

a pirden i nöstar dè

prenutê par nó da un étar

a ’spitê d’lezar

da un talafunì

ch’al letar ch’al s’dega

ch’a j aven vent

un étr incontrar cun e’ disten

e incion a scrivas mai…

noi che siamo in attesa / che il destino / ci venga incontro / con un bacio mai provato / occhi di un colore mai visto / capelli rossi infuocati di desiderio / non ce ne accorgiamo / che passiamo i giorni / a giocare al lotto / a tentare di staccare il lezzo / dai nostri panni fradici / il sudore selvatico di umano / che abbiamo addosso…

fermi su un binario / dentro a un vagone / senza nessuno che lo guidi / che va soltanto quando pare a lui / a far passare un Eurostar / a prenotazione obbligatoria / perdiamo i nostri giorni / prenotati per noi da un altro / ad aspettare di leggere / da un cellulare / quelle lettere che ci dicano / che abbiamo vinto / un altro incontro col destino / e nessuno a scriverci mai…

(G. Nadiani, Guardrail, Ancona, Pequod, 2010, pp. 34-35).
 

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