sabato 30 luglio 2016

Traffic jam

Tempo di rientrare. Ma non senza aver fatto sperimentare ai bambini, per la prima volta, la spensieratezza di un ostello. E aver passeggiato nel centro di Monaco, intorno a Marienplatz. Altro memoriale ai piedi della statua: anche questa città ha conosciuto di recente il terrore. Ascoltiamo il carillon delle 12, con le figurine che ballano in ricordo della fine della peste: scampato pericolo. Nella piazza vicina, all'ombra dei castagni, mangiamo enormi Bretzel e Gurken salatissimi.
Rosie, l'amica di Anne che ci accompagna, spiega e racconta, alternando tedesco, inglese, italiano, francese. Una tedescaccia, come si definisce, con un'insolita, allegra vitalità. Ha superato gli ottanta ma non vive di ricordi. Sono i ricordi a rivivere attraverso di lei. Scopriamo da lei che tutti i bavaresi stanno per mettersi in macchina per raggiungere i luoghi di vacanza: in questo paese ordinato e produttivo, le vacanze (anche quelle scolastiche) si fanno a scaglioni. Capiamo subito che le decisioni dall'alto non riusciranno a impedire l'effetto traffic jam.
In coda fino al bivio Salisburgo-Innsbruck, osserviamo il passaggio degli stormi. Mi torna in mente una lezione di colleghi fisici, che paragonavano il traffico autoregolato ai movimenti spontanei e organizzati dal basso di uccelli e formiche: separazione e allineamento dei singoli, coesione del gruppo. Lasciare ai singoli l'iniziativa e la libertà di spostamento rende il traffico più fluido: come accade nelle rotonde rispetto agli incroci con semaforo. Ma per chi è inquadrato in un sistema di regole, la marcia diventa un riflesso. Le deviazioni e le infrazioni alla linea una minaccia al proprio comfort, oltre che alla sicurezza personale e collettiva.
Siamo ancora in Tedescania, chiede il piccolo? Dalla Baviera all'Austria la frontiera è invisibile: un grande pannello ci ricorda però che dobbiamo esporre la vignette, l'abbonamento che dà diritto (come in Svizzera) all'uso delle autostrade. Osserviamo il paesaggio: i campanili a pom-pom dei villaggi, i castelli perfettamente conservati (o rifatti) disseminati lungo la montagna. Penso alla dinamica tra esprit du clocher ed esprit d'intercourse che regola la vita delle lingue come quella delle comunità: il campanile e i crocicchi, l'identità e lo scambio.
Il confine con l'Italia, stavolta, non ha barriere naturali imponenti: solo 500 m di galleria sul Brennero. Anne nota i guardrail, che sembrano arrugginiti e invece no. Tra le barriere marroni, ritrovo le mie abitudini di guida. Mi sento più sciolta e padrona della strada, libera come sono di accelerare per inseguire una Ferrari o di accodarmi a una familiare stracarica. Ritroviamo gli autogrill frequenti, con toilette a libero accesso e caffè caffè. Ritroviamo la voglia di tornare a casa, dopo tanto viaggiare. "Restare a casa non ė lo stesso che ritornare a casa" - come recitava più o meno la scritta sovrastata da bottiglie sotto il ponte pedonale della stazione di Amsterdam. Ma questo anche Ulisse lo sapeva.


 
 
 
 
 

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