giovedì 28 luglio 2016

Baustelle

Lasciamo Admsterdam per scendere a sud. Più di 800 km di autostrada senza caselli prima di raggiungere Münich. Usciti dalla città, dopo Utrecht, un toponimo rivelatore: Breukelen. Perché, prima di diventare una nuova York, la città sul fiume oltre l'oceano era una nuova Amsterdam, con sobborghi annessi. Capisco ora quell'aria di famiglia, girando per le ciclabili ieri. Ritrovarsi dall'altra parte di Amsterdam, dove ti porta il traghetto gratuito, è come ritrovarsi nell'altra New York, oltrepassato il ponte di Brooklyn: case più alte che larghe, identiche facciate e backyard. Anne mi spiega che breuk in fiammingo vuol dire pantaloni. Penso alla parola jeans, che viene da Genova, come la tela di orbace dei camalli.
La frontiera tra Paesi Bassi e Germania è segnata da un diverso stile di guida: là rispetto dei limiti e sorpassi solo se necessari, qua apparentemente nessun limite e slalom tra le corsie (strettissime), come in Italia. La differenza traspare nelle aree di servizio: toilette a pagamento con i tornelli (si passa inserendo 70 centesimi oppure la carta di credito), defibrillatori ovunque (troppo sale e troppe salse nelle salsicce - dice Anne, che me li fa notare).
Ascoltiamo cd a rotazione. È la volta di Benjamin Biolay. Dico ad Anne che mi piace la sua voce. Lei: "Il a beaucoup écouté Gainsbourg". Cassé. Quando arriva De André, che lei non conosce, metto subito le mani avanti: "Il a beaucoup écouté Brassens". Ridiamo. E poi l'ultimo dei Baustelle (che vuol dire "lavori in corso" - come recitano anche i segnali sulla A3). Code su code, incolonnati fino a Colonia. "Specchio di pioggia e asfalto" - canta Cristina Donà.
Intorno scorrono cartelli che annunciano luoghi più o meno conosciuti: la Wuppertal di Pina Bausch, la Worms dei Nibelunghi, il paese natale di Gluck vicino a Norimberga. Memorie culturali non mediate da alcun commercio di amorosi sensi. Mi manca la lingua, soprattutto, per me oscura, affilata come un coltello.
Quando arriviamo a Monaco sono stanca e sopraffatta dalla vista delle torri (simboli fallici per eccellenza) erette dalle case automobilistiche. La gara ė tra le più potenti tra le tedesche: le stesse che,

 repotenti, ci sorpassavano senza segnalare il cambio di corsia. Nell'ultimo romanzo di Jonathan Franzen, Purity, uno dei personaggi, il tedesco dell'Est Andreas Wolf, camminando per le strade della Berlino riunificata, si ferma davanti a una concessionaria della Bmw e chiede al suo amico americano:
- Che ne dici, Tom? Dovrei provare a desiderare una di queste macchine? Adesso che non c'è più l'Est, solo l'Ovest?
- Desiderarle è il tuo dovere di consumatore.
Andreas fissa spaventato "quelle macchine che promettevano il piacere di guidare", prima di mostrare il dito medio alle lustre Bmw, tenendolo alzato sopra la spalla mentre si allontana.

Inutile dire che non abbiamo visto DS, stavolta, lungo la strada. Altra "filosofia" di guida. Forse anche di vita.






 
 
 
 

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