giovedì 14 luglio 2016

S'épanouir en voiture

L'amore per un altrove è anche amore della lingua degli altri: la lingua che gli altri parlano e, prima ancora, che abitano. Perché la lingua è un luogo dell'identità, del ri-conoscimento, prima ancora che un mezzo di comunicazione.
Io del francese amo la chiarezza dello stile e la finezza argomentativa, fatta di superfici piane su cui si innesta la "pointe", il picco discorsivo, lo scarto inatteso. Inaspettatamente, ritrovo queste caratteristiche nella macchina che guido per una prova sulle lunghe distanze. Confortevole, ma insieme capace di slanci: in curva, per esempio, una volta superato il punto di corda. O nello scatto che precede e segue il sorpasso, il cambio temporaneo di corsia.
Delle altre lingue, però, si possono amare anche parole singole, così evocative e intraducibili. O traducibili solo con sforzo. Il francese s'épanouir, per esempio. Detto dei fiori che sbocciano come dei bambini che crescono in modo armonioso, sviluppando a pieno la propria personalità. Lo si può dire anche di un viso, quando diventa radioso. Mi chiedo se la metafora sia appropriata a descrivere un'esperienza di guida. Non la macchina in sé, ma il cambiamento di stato emotivo che si produce quando siamo in un abitacolo e abbiamo il controllo del mezzo.
Perché la macchina, che nella quotidianità usiamo come semplice mezzo di trasporto o di spostamento, nella dimensione del viaggio dispiega le proprie potenzialità: quando, spento il navigatore, possiamo concederci il lusso di perderci, prendendo una strada secondaria per godere del paesaggio, o di fare una sosta imprevista per soddisfare la curiosità dei bambini che, dai sedili posteriori, cercano in quel paesaggio segni noti e presenze familiari.
Riconosco nella macchina che guido (una nuova DS) la caratteristica che il semiologo Roland Barthes attribuiva alla vecchia Citroën DS, conferendole la statuto di moderna mythologie: la capacità di "sottrarsi al bestiario della potenza" per esprimere la velocità attraverso segni non aggressivi, ma morbidi e decantati. Come la gradazione alcolica in un vino nobile.
Perché non è la macchina in sé (un oggetto di consumo tra i tanti, benché uno dei più "sublimi"), né la strada (un luogo che spesso si rovescia nel suo contrario, un "nonluogo"), a richiederci la capacità di apprivoiser, di domare o addomesticare il mezzo. Al contrario, sono la macchina e la strada a richiamarci al necessario dominio di noi stessi, alla ricerca di un equilibrio mobile ma responsabile, lontano dalle finzioni pubblicitarie.




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