venerdì 22 luglio 2016

Le grand escargot

Paris, in francese, è un nome maschile. Il nome comune città, ville, è femminile, ma il nome proprio è maschile: la ville lumière, ma le tout Paris. Io amo Parigi con la stessa intensità e le stesse contraddizioni con cui ho amato gli uomini della mia vita. La nostra storia è durata due anni. Due anni divisi tra il lavoro in un Labo de Linguistique del CNRS durante la settimana (métro-boulot-dodo) e i vagabondaggi a piedi per la città nel fine settimana. Quartiere dopo quartiere, la Reflex al collo. Quasi tutto quello che so di Paris l'ho imparato e fotografato in quegli anni.
Sono passati 12 anni e ogni volta che torno lo ritrovo un po' cambiato, ma posso ancora girarlo senza cartine alla mano, ricordando le stazioni di métro e i numeri dei bus dai tragitti più suggestivi (il 67, per esempio, la linea rosa che attraversa la città da Montmartre al Jardin des Plantes, passando per l'Ile Saint-Louis).
Ogni volta la flânerie torna a impossessarsi di me e io mi perdo nelle strade e nei passages (raccontati da Walter Benjamin) dimenticandomi della fatica del vivere. Tutte le volte mi chiedo se potrei tornare ad abitarci, ora che la mia vita è cambiata, con i bambini e tutto il resto. Tutte le volte mi torna in mente una frase del poeta americano John Ashbury, trovata in uno dei tanti libri su Paris coi quali, negli anni, ho cercato di colmare la distanza: "Essere vissuto a Parigi rende impossibile vivere in qualsiasi altro posto. Parigi compresa".
Ogni volta che torno coi bambini, però, scopro cose nuove che non avevo notato, o ne guardo altre con occhi diversi. I giardini pubblici, per esempio, ciascuno col suo bac à sable in cui si può giocare con secchielli e palette, e poi strutture di ogni genere per arrampicarsi, ma anche giochi dimenticati da fare a terra, come la Marelle (campana), 1,2,3 Soleil (1,2,3 stella), Twister. Non si trovano altalene (bandite per ragioni di sicurezza) ma non manca mai il dondolo.
Oggi, La Bambina in prestito nel passeggino, abbiamo vagato tra i parchi e giardini tra il 13o, il 5o e il 6o arrondissment. Dopo il giardino accanto alla casa di Elena e Fred, è stata la volta del Luco (le Luxembourg), uno dei miei preferiti: un giardino per adulti, in realtà, se non fosse per il teatro delle Marionnettes. Ogni volta mi incanto ai riflessi della Fontaine des Médicis, alla vista delle sedie a sdraio in ferro, di un verde sbiadito, intorno al bassin centrale. Una volta addormentata la piccola, risaliamo verso il Pantheon e scendiamo dalla Mouffe (la rue Mouffetard). Svoltando a destra, si raggiunge la grande Mosquée (col suo Hammam e il thé à la menthe coi dolcetti orientali) e uno degli accessi al Jardin des Plantes, il preferito dei bambini: per le serre, il labirinto, la ménagerie (un piccolo zoo), il museo con i dinosauri.
Al ritorno, riconsegnata La Bambina, raduniamo le nostre cose e ci dirigiamo verso la casa dell'altra fata-madrina. Questa volta varchiamo la Senna per arrivare nel 2o arrondissment, nel cuore antico e commerciale della città: rue Montorgueil, non lontano dalle vecchie Halles, oggi rinnovate. La canopée, la struttura in vetro da poco ultimata che le ricopre, riverbera al tramonto.
La vera novità, questa volta, non è tanto la destinazione, ma il mezzo di trasporto. Elena ci ha prenotato un Uber. Un elegante e giovane Mohammed, arrivato in 3 minuti su una Mercedes classe C, viene ad aprirci la porta, carica le nostre borse, ci fa accomodare mostrandoci le bottigliette d'acqua e le caramelle a disposizione. Ci chiede se preferiamo l'aria condizionata o i finestrini aperti e, soprattutto, ci chiede di noi e ci racconta di sé. Cresciuto fino a 6 anni a Genova, ha un ricordo dolcissimo della nostra lingua. Ci dice che ha cominciato da poco a fare questo lavoro, insieme al fratello, per pagarsi gli studi di Economia. E che, facendolo, ha scoperto una città di cui prima, da ragazzo di cité,  non conosceva che gli snodi di scambio o le strade del lusso (in cui tanti, diversi da noi, gli chiedono di essere accompagnati).
Parliamo insieme dei lati di Paris: il sopra e il sotto (rive gauche e rive droite), un tempo più nettamente distinte (sotto, i luoghi della cultura, simboleggiati dalla Sorbonne; sopra, gli affari, simboleggiati dalla Bourse); la destra e la sinistra: l'est più popolare (con immeubles più modesti e una maggiore concentrazione di HLM o logements sociaux) e l'ovest più ricco (coi gli hôtels particuliers e le grandi avenues), oggi rimescolati dalla gentrificazione.
Concordiamo sul fatto che la memoria architettonica è più solida degli usages de la ville, che cambiano in fretta. Lui mi fa notare che Parigi sta cercando comunque di rifarsi il maquillage, per attrarre più turisti, da quando New York le ha sottratto il primato della città più visitata al mondo. Gli dico che ammiro la sua curiosità culturale. Mi risponde che la sua è una curiosità etica. E io non posso fare a meno di apprezzare la sua eleganza, anche verbale.
Quando ci lascia in rue du St. Sauveur, i bambini si sono addormentati. Per salire al terzo piano senza ascensore su una delle scale strette a chiocciola che ci portano all'appartamento al 3o piano sono costretta a svegliarli.
Salendo parliamo delle chiocciole francesi, les escargots. A Mâcon siamo riusciti ad aggirare  l'assaggio delle famose lumache alla borgognona. Ridiamo del fatto che gli italiani, da lontano, chiamassero i francesi "mangiatori di lumache". (I francesi, per parte loro, chiamano gli italiani che vivono in Francia ritals, che non è un complimento). Apro il plan, la mappa di  Paris,  per mostrare dove siamo: seguendo la numerazione dei quartieri si accorgono da soli che l'intera Parigi è una grande lumaca,  un grand escargot: i numeri degli arrondissment sono disposti a spirale, dal centro verso la periferia. La coda, il 20o, è a est. La testa della lumaca a ovest, in corrispondenza del Jardin d'acclimatation, altro luogo che amano, e che amo anch'io da quando posso guardare il grande veliero in vetro costruito da Frank Gehry per la Fondation Louis Vuitton (l'unica cosa che mi interessi del  marchio Vuitton).
Siamo stanchi e affamati. Scenderemo a prenderci una galette o un croque-Monsieur/Madame. Domani destinazione Louvre, ala antiche civilità; facciamo il biglietto online prima di addormentarci. E poi saliremo in cima alla torre Saint-Jacques, finalmente visitabile: da lassù scopriranno che Paris era una mandorla (amande) in origine. Dalla mandorla dell'île de la Cité a quella più ampia disegnata dalle mura di Filippo Augusto: dal Louvre alla chiesa di Saint Paul. E noi saremo al centro dell'occhio, con una vista aperta sull'intera città, fino al cerchio nuovo dei boulevards peripheriques.




 
 


 

 


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